Elettroshock? No, grazie!

Pubblicato da Redazione il
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La gran cassa dei media ormai da giorni riporta le affermazioni del dottor Cassano, psichiatra toscano, dichiarazioni che hanno scosso l'ambiente medico ma non solo. Come noto, ha pubblicamente sostenuto (ma in realtà è un suo vecchio cavallo di battaglia che solo oggi gode di vasta eco sui media) che bisogna re-introdurre l'elettroshock nel Sistema Sanitario Nazionale perchè, a suo dire, " ... è efficace nei casi di depressione".

L'ambiente medico è rimasto colpito da questa affermazione perchè solitamente chi enuncia cotanta scienza vuol dire che ha appena alzato il capo dai suoi complicati studi e ricerche, significa che ha trovato un problema, lo ha analizzato e dopo parecchie sperimentazioni ha trovato una cura: ma il dottor Cassano ha semplicemente esposto un suo pensiero, senza fornire valide prove scientifiche a suo sostegno. Dov'è allora la scienza in tutto ciò, si sono chiesti i colleghi del prode portabandiera dei "bruciamo-tanti-cervelli-con-l'elettroshock-e-qualcosa-deve-per-forza-succedere"?

Ma, sopra ogni cosa, cos'è l'elettroshock?

Negli anni trenta del novecento due italiani, Ugo Cerletti e Luciano Bini, notano che al mattatoio, alle bestie impaurite e agitate dall'odore del sangue, vengono praticate delle violente scosse elettriche fatte passare attraverso il cervello per mezzo di due lunghi elettrodi manipolati dai macellai. Questi poveri animali, ricevuta la scossa, mostrano qualche segno di convulsione e poi per qualche minuto sono calmi, intontiti, e si avviano al macello senza più scalciare. Fatta questa osservazione, sperimentano loro stessi su diversi animali la scossa elettrica al cervello, annotando le diverse reazioni e trovando un voltaggio che poteva essere sopportato dall'uomo senza fulminarlo immediatamente.

Siamo in pieno fascismo, i Diritti Umani sono una cosa di là da venire, per cui non è difficile per i due nostri connazionali iniziare ben presto la sperimentazione sull'uomo: è il 1938.

L'idea è quella di far attraversare dalla corrente il cervello di quelle persone che la società rifiuta di assistere civilmente e la psichiatria ne fa il proprio bacino di utenza: i malati mentali.

Nei manicomi italiani prima, e in quelli di tutto il mondo poi, si cominciano a friggere cervelli in nome di una scienza che tale non è, si creano danni permanenti a milioni di persone che hanno l'unico torto di essere giudicati diversi.

Lo spettacolo non è bello, chi riceve la scossa ha tremende convulsioni incontrollabili, si spezzano i denti, si fratturano le ossa, ci si mastica la lingua. Nei manicomi, elettroshock non è mai stato sinonimo di cura, ma di dolore e tortura. Tant'è che viene usato per terrorizzare gli internati.

Lo stesso Cerletti dichiarò, negli anni '50, in un suo discorso alla Sorbona, che l'elettroshock doveva essere cancellato dalla lista dei trattamenti medici. Ciò non è bastato: milioni di vite sono state rovinate da questa pratica barbara.

Volendo tralasciare l'aspetto puramente medico della questione, e ignorando anche quello che a dire del Cassano è il motivo della messa al bando dell'elettroshock (e cioè la sua etimologia, quasi che a chiamarlo camomillashock facesse meno male), abbiamo cercato la testimonianza di chi ha potuto vedere cosa causa questa "terapia" psichiatria agli esseri umani e alla società.

Abbiamo chiesto un incontro ad Alessandro Carri, Presidente del Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia con sede nell'ex manicomio S. Lazzaro. Il Centro in questione vanta una raccolta di decine di migliaia di cartelle cliniche di ex degenti, una biblioteca tematica di grande spessore e un museo che raccoglie tantissimi strumenti che venivano usati fino alla seconda metà del novecento per "curare" i malati. Qualcosa di unico al mondo, dicono i curatori.

Il Pesidente accetta l'invito, tra l'altro ha già espresso pubblicamente il suo secco NO alla reintroduzione massiccia della terapia elettroconvulsivante.

Oggi l'ex manicomio reggiano non è più il luogo chiuso di diversi anni fa, che non si è mai capito se fosse così sigillato per evitare che dal di dentro si potesse uscire o viceversa. Oggi le sue palazzine ospitano diversi servizi di pubblica utilità, e si sta continuamente evolvendo in questo senso.

Fa comunque un certo effetto entrare volontariamente nel vecchio padiglione che oggi ospita la sede del Centro di Documentazione e il relativo museo. Non si sentono più le urla che devono aver fatto da sottofondo al clangore delle catene che costringevano i malcapitati cittadini alla segregazione, alla privazione di libertà senza aver mai commesso nessun reato. Non si vedono più persone avvolte nelle camice di forza rinchiuse in camere imbottite, lavate dai loro escrementi con potenti getti d'acqua.

Ma entrando nel vecchio padiglione, è sufficente immaginarsi tutto questo per sentire i brividi lungo la schiena.

Buongiorno, dottor Carri, la ringraziamo per aver accettato l'invito ad essere intervistato.

Esordiamo così, stringendo la mano di questo signore che siede dietro una scrivania decò in legno scuro, in un ufficio arredato con mobili dello stesso periodo.

"Sono io che vi ringrazio, mi fa piacere che la cittadinanza sia informata su questi problemi. Fondamentalmente lo scopo del Centro che presiedo è proprio questo: far sapere quanta sofferenza c'è stata in queste strutture, quanti errori, quanti poveri contadini e operai hanno concluso incolpevolmente la loro vita dietro queste mura. Quanti danni ha causato l'elettroshock alle persone qui ricoverate. Per questo non posso accettare che oggi venga riproposta questa terapia elettrica: io ho visto cosa è capace di fare a chi la subisce".

Nel parlare, questo distinto signore si anima di quella forza che solo chi ha toccato con mano certi argomenti può avere, e ci spiega:

"Sono entrato nel Consiglio di Amministrazione del S. Lazzaro nel 1969. Allora, giovane esponente del PCI, ricevetti l'ordine di fare qualcosa per aiutare i cittadini segregati nel manicomio a riacquistare la loro libertà. Non era una questione medica, era una questione sociale e politica: come potevamo permettere che tante persone fossero rinchiuse senza avere colpa alcuna? Non avevamo forse lottato pochi anni prima contro un regime che negava la libertà solo per delazione? Entrai così per la prima volta in questa struttura una quarantina d'anni fa, e la visione di quello che si presentò ai miei occhi mi lasciò un segno, una cicatrice che ancora oggi non si è rimarginata, visto che sono ancora qui."

Non abbiamo bisogno di fare molte domande, lasciamo scorrere volentieri le interessanti parole del nostro ospite.

"Nel 1969 in questo istituto erano ospitate oltre duemilaquattrocento persone, una enormità. Nel progetto politico di far saltare il S. Lazzaro (saltare nel senso di superarlo con mezzi più moderni) era già stato fatto un primo passo con l'istituzione dei Centri di Igiene Mentale da parte della Provincia. Il mio, o meglio nostro, primo passo fu invece quello di far demolire in poche ore il muro di cinta del padiglione Lombroso. Chiamai un certo Fontanili, a capo di una ditta che aveva i mezzi meccanici adatti, gli dissi cosa era richiesto che facesse, e lui iniziò il lavoro. Tornato al mattino dopo, vidi che la cinta era già stata tutta demolita, segno che Fontanili aveva lavorato ininterrottamente tutta la notte. Gli chiesi perchè, gli spiegai che non era necessario e che un giorno o due in più non avrebbero cambiato nulla. Lui mi guardò e disse: l'ho fatto perchè io qui dentro ci sono stato."

Si emoziona quasi al riaffiorare di questi ricordi il dottor Carri, e continua.

"La demolizione di quel muro di cinta fu un evento traumatico (in senso positivo, naturalmente) non solo per i pazienti ma anche per medici e infermieri. Era un momento che non è esagerato definire storico per le istituzioni manicomiali, vi ricordo che dovevano ancora passare altri dieci anni prima che la legge 180 del grande Basaglia fosse promulgata. In poco tempo furono liberate più di mille persone da questo istituto psichiatrico. Fu una decisione politica, è vero, ma fece riacquistare la libertà a tanti cittadini."

Nel sentire queste parole, non possiamo però dimenticare che il PCI di quegli anni, quello che volle il superamento del S. Lazzaro, era lo stesso che nei comizi inneggiava all'URSS come fosse la Terra Promessa, ignorando che in quella lontana nazione era sufficente dire una parola sbagliata per essere internati vita natural durante nei lager psichiatrici. Questo non toglie nulla al valore di quello che il PCI reggiano fece per il S.Lazzaro, e tantomeno sminuisce il valore delle azioni del dottor Carri svolte in questo senso. È solo una dimostrazione della miopia politica di quegli anni.

Dottor Carri, sui quotidiani nazionali si leggono notizie che vorrebbero farci credere nella bontà terapeutica dell'elettroshock, ma sopratutto lo vorrebbero reintrodurre gratuitamente nel Sistema Sanitario Nazionale. Cosa risponde a questi proclami?

"Questi signori non vogliono imparare dall'esperienza, negano o ignorano quanto dolore abbia creato questa tortura elettrica. Ma in primo luogo non vogliono ammettere che non c'è nessuna scienza nella terapia dell'elettroshock, non c'è aiuto alla persona. Dovrebbero invece approfondire gli studi per poter meglio aiutare i malati mentali con l'incontro personale, andando a cercare i problemi delle pesone che sono sempre soggettivi. Io non sono nemmeno d'accordo con l'uso indiscriminato degli psicofarmaci: non sono cure, non mirano a risolvere i problemi dell'individuo alla base. In Italia la legge 180 ci ha messo all'avanguardia nel mondo riguardo l'assistenza dei malati mentali, anche se la legge stessa non sempre è applicata in tutti i suoi punti. Sono gli altri Paesi che devono raggiungerci, non siamo noi che dobbiamo tornare al passato."

Fino a quando si è praticato l'elettroshock qui al S.Lazzaro?

"Fino alla fine degli anni '60, quando io venni qui lo si usava ancora ma c'era già la consapevolezza di quanto non fosse terapeutico, anzi. Oggi dicono di usare l'anestesia, che non è più brutale come decenni fà, ma nessuno presenta studi certi sulla sua efficacia, sul suo meccanismo d'azione, ma sopratutto nessuno ne conosce i veri danni a lungo termine. Ogni scossa è un tremendo terremoto per le cellule cerebrali, qualcuno ha scritto che è come far crollare un muro e poi aspettare che la natura lo ricostruisca mattone su mattone: ma nessuno sà con certezza se sarà ricostruito completamente e in che ordine."

Volendo racchiudere il concetto in una equazione, potremmo dire che l'elettroshock sta alla medicina come le bombe intelligenti stanno alla diplomazia?

"Concordo, ma le ricordo l'affermazione di Franco Basaglia: praticare l'elettroshock a una persona, è come voler aggiustare con dei pugni il televisore che ha perso la sintonia."

Più chiaro di così.

Il Tarlo

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